…non dimentichiamo che, nei due specifici, sono diverse le tacite convenzioni tra l’attore e lo spettatore. Come si diventa e si cresce come attori?
Il principio che anima la mia ricerca in questo campo è una formazione dell’attore permanente; per cui l’attore si costruisce giorno dopo giorno senza mai sentirsi arrivato, anche chiamandosi Dustin Hoffman o Robert De Niro: c’è comunque un percorso di scoperta interiore che precede un quotidiano ma anche delle esperienze professionali. Penso di aver imparato tanto dal teatro; considero quella esperienza essenziale: sento che devo a lei le mie esperienze cinematografiche, fondamentalmente anche apprezzate per quanto riguarda la mia interpretazione; viceversa, anche da quelle esperienze cinematografiche ho, comunque, tratto spunti ed informazioni importanti per il mio percorso teatrale ed attoriale in senso stretto.
Per te attore, chi è il personaggio che ti vene assegnato dal regista?
Fondamentalmente devo ritrovarlo come una parte di me; mi sento molto stanislavskiano, ossia un attore che prova ad andare a fondo, a conoscere se stesso e cercare di capire, di interpretare quel personaggio a seconda di quello che sono gli strumenti culturali di cui dispone, delle informazioni che gli vengono dall’esterno, sia come osservazione del comportamento sia di ascoltatore di quanto avviene all’interno della società. Il tutto per poter fissare quello che in teatro vene chiamato “carattere” e, nel linguaggio comune, il prototipo il tipo della situazione. Tutto questo materiale va poi mediato dalla sensibilità individuale dell’attore, ossia quello che egli è; è questo il metodo per riuscire a comunicare un’emozione vera all’interno della rappresentazione assegnata. Bisogna mettere in gioco molto di se dentro quel personaggio
Dici molto; perché non tutto?
Non tutto perchè si potrebbe rasentare la schizofrenia: c’è una dose di consapevolezza che l’attore deve sempre mantenere. Aderenza, da un lato, “mollare il cervello” dall’altro. L’indagine su se stessi è necessaria per rompere le griglie mentali di interpretazione della realtà, per un ascolto interno; rimanendo, comunque, vigile. Fare l’attore è sempre una crescita relativamente ad “essere umano”. Guai a non mantenere una certa distanza al personaggio ed impegnarsi con della sana auto ironia su quello che stai facendo.
Ma chi è il regista per un attore che indossa un personaggio?
A me piace il regista che lavora con gli attori. Nel cinema non sempre mi è successo. Per me il regista deve essere il demiurgo che controlla tutto, che suggerire e suggestiona l’attore, che lo aiuta nella maieutica del personaggio. Colui che parte da un’idea e la sviluppa con l’attore. Deve essere in grado di veduta generale e di sintesi. Deve essere disposto a mettersi in gioco anche lui, nel lavoro, con l’attore per tirargli fuori il meglio, e non soltanto imponendo quella che è la sua visione. In questo modo si ha anche un confronto umano tra due esperienze, tra due sensibilità artistiche.
Ti è capitato, come attore, di avere “rapporti” con lo sceneggiatore?
Sessuali? …scherzi a parte, nei film in cui ho lavorato è accaduto che il regista era anche lo sceneggiatore. Pertanto non posso risponderti pienamente alla tua domanda. Nel teatro, per attualizzare un vecchio lavoro, ho sentito la necessità di chiamare gli autori per l’analisi del testo e rispettarne i contenuti.
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